Continua la nostra rassegna sui libri che parlano degli editori italiani più importanti.
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«Non è la libertà che manca, in Italia. Mancano gli uomini liberi».
«I buoni sentimenti promuovono sempre ottimi affari».
«Tutte le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola».
«In Italia, tutti sono estremisti per prudenza».
«Alla manutenzione, l’Italia preferisce l’inaugurazione».
«Un vero giornalista: spiega benissimo quello che non sa».
«Il paradosso è il lusso delle persone di spirito, la verità è il luogo comune dei mediocri».
«L’intellettuale è un signore che fa rilegare i libri che non ha letto».
«Non datemi consigli! So sbagliare da solo».
Questi sono solo alcuni degli aforismi di Leo Longanesi, giornalista, disegnatore, editore e, appunto, aforista. Testi audaci, anticonformistici, impegnati nella satira della società contemporanea, proprio a realizzare uno spirito vivace, in grado di influire attivamente sulla cultura del suo tempo.
Durante il ventennio fascista, questa figura di intellettuale sui generis, capace di spaziare dalla pubblicità a scritti ben più pungenti, brillante, estroso, esercitò una peculiare forma di resistenza anche a livello editoriale fondando la rivista “L’Italiano”.
«I regimi totalitari non consentono la battuta di spirito ma essi hanno il merito, involontario, di suscitarla. Nelle grandi pause liberali, lo spirito, il gusto del comico, l’ironia languono. La satira è tanto più efficace quanto più è rivolta contro regimi intolleranti»
«Fanfare, bandiere, parate. Uno stupido è uno stupido, due stupidi sono due stupidi, ma diecimila stupidi sono una forza storica»
«Il Fascismo non ha tolto la libertà di stampa ma ha introdotto la responsabilità di stampa; e i giornali d’oggi sono monotoni, uguali, zelanti, cortigiani, leccapiatti appunto perché nessuno ha il coraggio d’assumere questa responsabilità, a costo di perdere onori e cariche. Non è dunque la libertà di stampa che fa difetto, ma è la stampa, che per vivere in pace, si taglia la testa e la mette nel sacco dei luoghi comuni»
«Gerarchi: la grande attività di chi non ha nulla di serio a cui pensare».
In seguito, Longanesi fondò e diresse altre riviste (fra cui “Omnibus” e “Il Borghese”) fino a dar vita nel 1946 all’omonima casa editrice.

Leo Longanesi
Nato nel 1905, a Bagnocavallo, da una famiglia di agiati proprietari terrieri, Longanesi è stata una delle figure più affascinanti e controverse del panorama culturale novecentesco.
Come scrive Andrea Ungari nel suo Un conservatore scomodo, dedicato interamente a questo intellettuale esuberante e poliedrico, Leo Longanesi è stato “il maestro dei più importanti giornalisti italiani del dopoguerra, ideatore di slogan e di pubblicità di successo, editore, talent scout e scrittore di razza. Egli ha impresso di sé almeno due generazioni di italiani, quelli che crebbero all’ombra di Mussolini e del Re soldato e quelli che si confrontarono con il regime democristiano e la Repubblica”.
Come ricorda Indro Montanelli, tuttavia:
“Al cimitero ci si ritrovò in una decina di persone, non di più. Non ci furono cerimonie né discorsi. Solo la piccola Virginia, che avrà avuto quattordici anni, mentre la bara di suo padre calava nella tomba, mormorò: «E dire che gli orfani mi sono sempre stati così antipatici…» Una frase che sarebbe piaciuta moltissimo a Leo.”
Longanesi morì il 27 settembre del ’57. Pochi giorni prima, aveva scritto: «È un peccato vivere, quando tanti elogi funebri ci attendono».

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Non meno importante, e anzi fondante, l’attività editoriale di Livio Garzanti.
Figlio di Aldo, Livio ereditò la direzione della casa editrice Garzanti, sorta dopo che, nel 1936, il padre aveva rilevato le storiche Edizioni Treves.
Dalla fine degli anni Quaranta, diresse «L’Illustrazione Italiana», una delle riviste culturali più prestigiose del tempo. Nel 1952, passò alla guida della casa editrice diventandone presidente nel 1961, alla morte del padre. Nel 1955 lanciò Pier Paolo Pasolini (Ragazzi di vita) e successivamente Paolo Volponi (Memoriale).

Da un’intervista sul Corriere del 2011: «Non amavo lo zoo dei letterati, le serate noiose che organizzavano gli editori e che oggi sono mitizzate. Ho evitato lunghi soggiorni nei salotti ma non ho mai preteso di avere la dignità di uno snob».
«Siamo sommersi dai premi ma non ricordiamo nemmeno i titoli dei vincitori dello scorso anno. Vedere i “letterati” di oggi mi fa senso, anzi mi sembra di essere caduto in una pozzanghera».
Di Pasolini: «Era un puro, un càtaro. Mi lasciò per andare da Einaudi perché avevo pubblicato un autore da lui detestato, che poi vinse lo Strega».
Oltre ad aver ideato “i dizionari fatti in casa” e le cosiddette garzantine, fu autore di romanzi tra cui L’amore freddo e La fiera navigante e di racconti Una città come Bisanzio.
Amare Platone, invece, è una riflessione sul Fedro, dedicata alla memoria della moglie Gina.
La stessa Gina è Gina Lagorio (dapprima collaboratrice alla Garzanti per la scolastica, poi deputata al Parlamento italiano per il gruppo della Sinistra Indipendente), scrittrice e donna di grande cultura e talento, che vinse il Premio Campiello nel 1977 con La spiaggia del lupo, edito da Garzanti.

Livio Garzanti
Su Garzanti, Gina Lagorio lasciò pagine molto affettuose ripercorrendo gli anni vissuti insieme e descrivendolo come un uomo fascinosissimo, capace, ma matto “come un cavallo”.
Sempre Livio: «Un editore è quasi sempre un voyeur. Ama la letteratura ma soffre di impotenza».
Su Giulio Einaudi: «Non l’ho mai conosciuto, ma era un presuntuoso senza cultura propria. Ha imposto la sua forma di presunzione a tutta la cultura italiana. Era un comunista megalomane».
«Della cattiveria ha fatto una civetteria, dell’antipatia quasi un mestiere. Dice tutto quel che pensa, al punto da irritare persino chi gli è amico. Questo è Livio Garzanti, editore in pensione, come ama crudelmente definirsi. E di editoria se ne intende». (Antonio Gnoli)
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L’impegno morale come fondamento dell’attività intellettuale, infine, è alla base degli scritti di Ugo Guandalini, tra cui: Adamo, libro per gli uomini di buona volontà (Modena 1932), sorta di diario stralunato di un giovane di provincia; Ballate delle streghe (ibid. 1932), dove prende corpo il suo durevole interesse per la poesia; e Il signor S. T. (ibid. 1934), abbozzo di romanzo autobiografico dal tono amaro. Le medesime tematiche, anche nella revisione del cattolicesimo e su modello di Gobetti, furono i filoni portanti della sua attività editoriale, iniziata nel 1932 con scarsissime risorse finanziarie e con un’ottica spiccatamente artigianale. Più o meno in quest’epoca, il Guandalini assunse lo pseudonimo di Guanda, che dette il nome all’omonima casa editrice, fondata nella città natale.

Ugo Guanda