La parola all’autrice di Publisher, Alice Di Stefano
Ma diamo la parola all’autrice di Publisher, Alice Di Stefano, riportando alcuni passi da interviste sparse:
Sono convinta che, nella vita come in narrativa, ci sia un punto di vista maschile e uno femminile. Se gli uomini sono più bravi a cogliere l’insieme, dando sempre un significato al tutto, le donne forse hanno maggiore capacità di saper leggere nei dettagli, fino in quelli apparentemente più insignificanti.
Non avevo mai pensato di scrivere un romanzo. Poi, osservando da vicino mio marito (professione editore), uomo particolarmente esuberante, volitivo, dalle energie inesauribili e anche molto buffo, è nata quasi spontanea in me l’idea di farne un personaggio cercando di renderne su carta le “imprese”.
Facendo di necessità virtù, ho cercato di sublimare gli inevitabili contrasti che si moltiplicano nell’incontro con una personalità tanto forte, in un racconto tra fantasia e realtà che ne potesse rappresentare con leggerezza difetti e qualità.
Da qui il libro che, attraverso il resoconto di una parabola personale, ripercorre quasi cinquant’anni di storia italiana. Il protagonista, infatti, è un uomo che, partito da un paesino di provincia, riuscirà nel tempo a costruirsi una vita e una carriera conoscendo, in più, ambienti e personaggi diversissimi.
Dal dopoguerra a oggi, mi mi divertiva riattraversare, sempre mediante il filtro della vicenda individuale, interi decenni, dalla ricostruzione al boom economico, fino alla crisi attuale. A metà strada, gli anni Novanta, anni che coincidono con un momento particolarmente creativo per l’editoria, qui descritta con gli occhi naive di chi, come me, ci si è affacciata relativamente da poco.
Per la struttura narrativa, ho voluto giocare con il genere dell’autofiction (che amo molto, specie nelle declinazioni di Mauro Covacich e Francesco Piccolo) mescolando in continuazione realtà e fantasia.
I nomi sono veri ma gli episodi sono stati rielaborati alla luce della finzione romanzesca.
Ritrarre il protagonista nelle minime particolarità del carattere mi ha dato l’idea di poterne cogliere l’essenza nonché il segreto del successo.
Infine, ho indugiato sull’ironia perché amo molto la narrativa umoristica che ritengo, talvolta, in grado di descrivere il mondo meglio della narrativa tout court.

Dall’intervista a Filippo La Porta comparsa su “Il Messaggero” del 28/10/2013
L’operazione del tuo libro – auto fiction sulla storia privata dell’editore stesso – ti sembra spudorata?
No, la mia è una commedia che, usando i nomi veri, prende pesantemente di mira il protagonista, canzonandolo: chi altri, se non la vittima di questo gioco metanarrativo, peraltro dichiarato, avrebbe potuto pubblicare un libro del genere? Il mio romanzo semmai è spudorato per la cruda sincerità di certi passaggi in cui il candore si fa quasi indecenza.
Credi che esistano un umorismo e una satira femminili, anche pungenti, corrosivi (qui la società letteraria) ma animati infine da una pietas verso la realtà?
La vera letteratura contiene sempre pietas, che è osservazione cosciente del mondo, comprensione profonda dell’animo umano, in tutte le sue sfaccettature. La narrativa priva di pietas spesso risulta secca, asciutta, puro mimetismo, se non sterile esercizio formale. Le donne, forse, accolgono con maggiore indulgenza le contraddizioni umane pur indugiando con singolare accanimento sulle sfumature.
Usi una lingua molto educata e affabile. Per i nemici del “romanzo ben fatto” potrebbe essere un segno di cedimento al gusto medio…
In narrativa, non amo troppo le sperimentazioni in direzione della lingua parlata né l’uso della scrittura “empatica”. Mi piacciono molto i libri scritti bene, con periodi lunghi e linguisticamente un po’ “all’antica”. La narrativa umoristica in particolare richiede l’uso di termini esatti e un lavoro di lima superiore proprio perché – si sa – far ridere è più difficile che far piangere. La scorrevolezza, quindi, è solo apparente, frutto in realtà di continui aggiustamenti formali.
Sei d’accordo con quello che dice Socrate nell’ultima pagina del Simposio: “Chi ha l’arte del poeta tragico è anche poeta comico”? Mentre la nostra tradizione comica sembra ignorare il tragico e l’ombra…
Assolutamente sì. Dietro il comico c’è sempre il tragico. E anche dietro l’apparente leggerezza e il tono da commedia del mio libro c’è l’inquietudine esistenziale e la precaria fragilità dei suoi personaggi. La realtà, anche alterata e volta in chiave ironica, è innegabilmente feroce.
Dall’intervista ad Antonio Prudenzano per “Affari italiani” del 30/09/2013
Cos’è Publisher?
È un esperimento che letterariamente segue un modello ai confini con l’autofiction (data anche la mia presenza come personaggio), una specie di biografia romanzata comica (o biofiction umoristica che dir si voglia), con nomi veri ma fatti rielaborati alla luce della finzione romanzesca.
Il genere che mi sono figurata, infatti, prevede e ingloba diverse soluzioni. Il libro è un romanzo perché contempla episodi che potrebbero benissimo essere inventati o parte di una storia di fantasia. Allo stesso tempo, è una biografia (più o meno fedele) con la parabola di un uomo che si è fatto da sé. Gli elementi che riguardano il mondo dell’editoria invece (colto nella sua “età dell’oro”), sono lo scenario naturale su cui si svolge la narrazione (dato soprattutto il mestiere del protagonista), visto però con l’occhio ingenuo di chi ci era entrata da poco ma già poteva descriverlo dall’interno.
Lei e suo marito non temete che Publisher nell’ambiente editoriale verrà accolto da scetticismo e risatine?
Le risatine (o risatone) spero le riservino per le battute del libro! Lo scetticismo lo avrà chi si farà prendere dai pregiudizi giudicando il testo senza neanche leggerlo. La mia è un’opera sincera e la sincerità, se non coincide con la verità, spesso le si avvicina. In fondo, è come se Elido avesse prestato il suo nome a quello del personaggio protagonista ponendo la sua vicenda al servizio di un narrazione di fantasia. Le storie (inventate o meno) sono storie. L’importante è capire se possano risultare interessanti una volta messe su carta e trasformate in materia da romanzo. Per la coincidenza del protagonista con l’editore, più che imbarazzo, io tenderei a vedere un gioco metaletterario niente affatto scontato e fino stimolante con il suo effetto scoperto di mise en abime.
Davvero molto interessante visto che leggo i vostri libri da anni, libro molto curioso. Grazie
Interessante su questo genere un libro che mi è capitato tra le mani un anno fa, “”Cronaca di una beffa editoriale””, di Pascal Schembri, edito dalla Genesi di Torino. Editoria piccola, quella, un mondo scalcinato di espedienti per pubblicare in solitaria una ventina di libri con pseudonimi buffi. Nessun successo narrato ma molte vicissitudini comiche, e nessun successo ha avuto il libro, che si direbbe un precursore di questa autobiofiction editoriale messa in luce da lei oggi con maggiore attenzione.
Complimenti
Maria