Una sera di ottobre, al termine di una festa particolarmente affollata, un po’ brilla, confusa, Alice era scoppiata a piangere disperata: non riusciva proprio a capacitarsi, davvero, di quanto il mondo fosse determinato a non riconoscerle i suoi meriti. Da tempo infatti, a torto o a ragione, sosteneva di essere «la più grande filosofa del mondo» nonché l’unica, infallibile «dea dell’amore».
Caduto dalle nuvole, stupito, forse anche lui un po’ bevuto, il Publisher, di fronte a quelle affermazioni tanto risolute, ribadite per di più sotto una pioggerellina fitta fitta di inizio autunno, non sapeva se sorridere o restare semplicemente in silenzio (possibilmente con aria contrita), colpito da quell’improvvisa quanto insolita manifestazione di autostima nella teorizzazione per di più di un ruolo tanto certo e ben definito. Insicura e un po’ titubante in tutto, Alice in genere si limitava a oscillare tra il ritenersi una cretina o un autentico genio. Lui, naturalmente, optava sempre per la prima anche se lei si ostinava a credere che ci fosse un senso nelle sciocchezze che si ritrovava a pronunciare ogni tanto e sempre a proposito dell’amore.

A me ricorda Jane Austen!
Ma allora devo comprarlo. Che coraggio!
Sto leggendo il libro, mi piace. Sono a metà, vi aggiornerò domani.